In ufficio trascorriamo in media 8 ore al giorno, il che significa, se a ciò sommiamo i tempi da dedicare agli spostamenti quotidiani, che vediamo più spesso i nostri colleghi che i nostri familiari. Riuscire a creare un clima disteso e collaborativo è quindi non solo un modo per aumentare l’efficienza del gruppo, ma diventa essenziale per il benessere.
Una risata ogni tanto
Anche nelle professioni più impegnative, lo stare sempre in tensione e all’erta non aiuta il benessere psico-fisico e influisce negativamente anche sulla produttività. Un ufficio sempre silenzioso e al lavoro, in cui l’unico suono udibile sia lo squillo incessante del telefono e il ticchettio sulle tastiere, non è necessariamente modello di efficienza, mentre con ogni probabilità, nasconde insoddisfazione e tensioni. Spezzare la monotonia con una battuta darà il via ad una concatenazione di effetti positivi, un po’ come si dice faccia il sorriso, che un solo gesto apparente, agisce su cuore, umore e benessere. Per favorire l’allentarsi delle tensioni, può essere utile adottare l’abitudine dell’ordine collettivo al bar, pratica molto diffusa in quegli uffici in cui la presa di servizio avviene molto presto al mattino. Gli impiegati hanno preso l’abitudine di spezzare la mattinata con una sorta di colazione di gruppo, che dura comunque pochi minuti, ma che ha effetti molto positivi sull’umore. Inoltre, questa pratica, riduce il numero delle visite alla macchinetta del caffè e quindi successive e continue interruzioni del lavoro, aumentando l’efficienza e la produttività.
Qualche confidenza
Il modo più semplice per creare un clima disteso e complice, è sfruttare le comuni esperienze e sensazioni per creare un legame. Non è certo necessario sconfinare nel rapporto di amicizia, ma condividere qualche frammento della propria vita con chi ci deve vedere per otto ore al giorno, contribuisce a renderci più umani e raggiungibili. In fin dei conti poi i colleghi di lavoro sono un po’ come dei compagni di avventura, con i quali si affrontano difficoltà operative e sfuriate del capo, e con cui si lavora per raggniugere obiettivi comuni. Non rinchiudersi nel proprio guscio, non nascondersi dietro un’armatura di efficienza e perfezione, ma rendere palese anche qualche difetto, qualche debolezza che in fondo tutti hanno, può renderci più simpatici e collaborativi.
Il nuovo arrivato
Uno dei momenti più delicati nel microcosmo dell’ufficio, è quello nel quale in un gruppo con delle dinamiche ormai consolidate, si inserisce un nuovo elemento. Può trattarsi di qualcuno trasferito da un’altra funzione o del nuovo stagista, in ogni caso, non di rado la new entry viene percepita come un’intrusione e un disturbo. Niente di più sbagliato, perché l’unico effetto che si ottiene è quello di creare un’ulteriore occasione di attrito e, nei casi più gravi, la creazione di opposte fazioni, così minando non solo la serenità dell’ambiente, ma anche la possibilità di collaborare per ottenere risultati condivisi in campo professionale. Il nuovo acquisto dell’ufficio può essere una risorsa, sollevarci da incarichi che non gradiamo, portare nuove idee ed è su questo che bisogna puntare, aiutandolo ad inserirsi e guidandolo nell’apprendimento di quelle pratiche aziendali che solo dall’interno è possibile conoscere. Spesso, a guidare l’atteggiamento ostile, è la paura di perdere la propria posizione, il timore che in quanto più giovane, più attraente o più preparato, il nuovo collega possa soffiarci da sotto il naso posto e prerogative guadagnate con fatica. È un rischio, inutile negarlo, ma mettersi sulla difensiva ha comunque poco senso, non risolve il problema e, spesso, lo peggiora, dando motivo all’altro per ostacolarci e osteggiarci. In alcune aziende la questione è stata in parte risolta istituendo la figura del tutor, un collega che si occupa della formazione sul campo del nuovo arrivato, così raggiungendo in un sol colpo due risultati: da un lato si garantisce una preparazione al lavoro d’ufficio anche a chi è appena arrivato, così risparmiando anche dal punto di vista economico eventuali corsi esterni; dall’altro, il collega con maggiore anzianità, che viene incaricato del tutoraggio, sviluppa spesso un sentimento di protezione verso quello che diventa il suo pupillo, così agevolando naturalmente il suo inserimento nel gruppo-ufficio.
Cene aziendali e attività di gruppo
Arrivano come una condanna in prossimità delle vacanze di Natale o delle ferie estive e, a meno che non siano organizzate in tutto e per tutto dalla direzione, portano discussioni sulla scelta del locale da prenotare, insofferenza e senso di costrizione, ma le cene aziendali non sono necessariamente qualcosa da subire. Anzi, l’aggregazione forzata, in un contesto diverso dall’ufficio, rappresenta uno strumento prezioso per unire e far interagire persone che autonomamente non sceglierebbero di frequentarsi. Chi vorrebbe vedere le stesse facce anche fuori dal lavoro? Eppure, durante questi incontri informali, ci si confronta, ci si rilassa e non di rado si scoprono nel collega taciturno, di cui di norma nemmeno si conosce il nome, qualità e interessi inaspettati. Nasce da questo rilievo l’abitudine, invero da noi ancora poco conosciuta specie negli ambienti di lavoro più tradizionali, a moltiplicare le occasioni di incontro fuori dall’ambiente di lavoro, per insegnare ai membri del team a fidarsi l’uno dell’altro e a non vedersi solo come elementi d’arredo dell’ufficio. Negli Stati Uniti sono ormai uno standard e, come dimostrano i risultati raggiunti in tema di team building, cioè di costruzione del gruppo, spesso questa è la soluzione. Via libera allora alle squadre sportive sponsorizzate dall’azienda e composte da colleghi, ai weekend aziendali in montagna o addirittura ai corsi di sopravvivenza, vacanze in resort, lezioni collettive di yoga e a tutto ciò che insegni a fare squadra.
Lascia un commento