I dati sulla disoccupazione in Italia parlano chiaro: il numero delle persone in cerca di lavoro, anche in fasce di età tradizionalmente non a rischio, raggiunge ogni anno livelli preoccupanti. Non trovare un lavoro non è un problema esclusivamente economico, ma coinvolge tutta l’esistenza in un vortice di problemi e difficoltà pratiche e psicologiche, dal quale qualcuno fatica anche ad uscire. Se tutto ciò non bastasse, ci si mettono gli altri. Che siano familiari o amici, che lo facciano per preoccupazione o senza pensarci, quando ti incalzano e ti sottopongono ad una specie di interrogatorio, vorresti strozzarli, perché discutere all’infinito delle tue finanze inesistenti, del futuro che non puoi costruire o delle cose che non puoi fare, non fa che peggiorare la situazione, specie quando ad esserti rivolte sono queste domande.
Ma hai cercato?
Iniziamo con un classico, che ha come presupposto il fatto che l’interlocutore consideri chi ha di fronte un totale deficiente. Chiedere ad un disoccupato se ha provato a cercare lavoro è come chiedere ad un bambino se quel giorno ha giocato. Certo che ho cercato, scherziamo? In genere a fare questa domanda sono i genitori, preoccupati perché non ti vedono correre da una parte all’altra della città con copie e copie del curriculum sotto braccio, o chi, avendo un lavoro da anni, non capisce minimamente che caos diabolico sia diventato il mondo del lavoro e, passando per caso davanti ad un’agenzia interinale, ne ha scoperto l’esistenza e quindi ora te la ripropone come l’idea geniale cui tu non hai proprio pensato. No, tranquilli: il disoccupato cerca eccome, e lo fa se non altro per evitare domande stupide come questa.
Cosa fai tutto il giorno?
Probabilmente l’immagine che ha in mente chi fa una domanda del genere, è quella di una persona che si sveglia alle 11, se ne ha voglia, che si gratta la pancia da mattino a sera e se ne sta davanti alla tv a mangiare schifezze. No, non è vero. A parte casi particolari, chi cerca lavoro sul serio è capace di passare 10-12 ore al giorno a spulciare annunci, rifare curricula, inviare candidature. Chi fa una domanda del genere probabilmente non ha mai dovuto riempire uno di quei terribili form che le aziende mettono sui loro siti per raccogliere i dati dei candidati. Io una volta ci ho messo la bellezza di 3 ore, perché la pagina era mal costruita e si bloccava di continuo e perché le informazioni richieste erano talmente dettagliate e le risposte ammesse così standardizzate, che ho dovuto interpretare il mio stesso curriculum per riuscire nell’impresa. Il colmo è stato quando, finalmente arrivata alla fine, ho cliccato il tasto per inviare il cv e mi è apparsa una bella schermata di errore che ha vanificato tutto il lavoro e tirato lo sciacquone sulle mie speranze. Quindi no, un disoccupato non se ne sta in panciolle. Cerca lavoro, cosa vuoi che faccia?
Ma perché non trovi?
Eh, bella domanda, me lo stavo giusto chiedendo pure io. Ma che domanda è? Il livello di inutilità è lo stesso del sempreverde “come mai?” che si risponde a chi lamenta un dolore. Ho mal di testa! Come mai? Ma che ne so, se lo sapessi probabilmente cambierei qualcosa ed eviterei il mal di testa, mi pare ovvio. Lo stesso dicasi con riguardo al lavoro: se sapessi perché non mi assume nessuno, farei qualcosa di diverso. Questa è una delle domande più irritanti, non tanto per il contenuto in sé, ma perché spinge chi la riceve a giustificarsi in qualche misura del suo fallimento. Non solo hai studiato una vita, non solo non trovi lavoro, devi pure chiedere scusa.
E come paghi i conti?
Quando si sfiora il dato economico, il livello di antipatia registrabile in una domanda, sale vertiginosamente. Partiamo dal presupposto che l’interlocutore sia una persona mediamente intelligente, sicuramente arriva anche a capire che chi non ha lavoro in genere ha poco denaro e quindi è probabile fatichi un po’ a far quadrare il bilancio. Mentre ti arrabatti mattino e sera, già non hai un lavoro, già probabilmente ne risente anche la tua vita sociale e di coppia, quello che proprio non ti manca è che arrivi qualcuno e ti intrattenga su un argomento, i soldi e la loro disponibilità, che è già è fastidioso in condizioni normali. Ebbene si, il disoccupato tipo non ha uno stipendio, quindi fatica a far quadrare i conti. Probabilmente svolge qualche lavoretto in nero, se ha fortuna ha una famiglia che lo sostiene per quel che può.
Perché non apri un’attività?
Questa è una delle più gettonate, sebbene sia difficile comprendere fino in fondo il retropensiero. Certo, è vero, nella situazione attuale è molto difficile trovare un lavoro dipendente, impossibile trovarlo a tempo indeterminato; è altrettanto vero che molti tentano la strada dell’autoimpiego e, come diceva una nota pubblicità, decidono di assumersi da soli. Bello, molto bello, ma non si capisce perché questo dovrebbe essere un imperativo valido per tutti, dato che presuppone un’iniziativa imprenditoriale di cui, ahinoi, non tutti siamo dotati. Se ciò non bastasse, per avviare una qualsiasi attività, muovendosi da soli o optando per il franchising, serve una disponibilità economica che il disoccupato, specie se giovane non ha.
Bonus track
Al termine di questa specie di interrogatorio serrato cui i poveri disoccupati sono sottoposti da parenti e amici ogni volta che vengono avvistati, arriva in genere la domanda regina: vacanze niente? A questo punto, se il mondo fosse un posto giusto in cui vivere, chi pensa di porre un quesito del genere, dovrebbe essere obbligato per legge a pagare le vacanze al malcapitato che si trova a dover rispondere.
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