Venezia: una dipendente di un locale situato nel centro storico della città, ha pubblicato un’offerta di lavoro sul suo profilo di Facebook, per aiutare gentilmente il suo datore, nell’ardua ricerca di un nuovo barista.
Ebbene, che requisiti avrebbe dovuto avere la figura richiesta? Conoscenza delle lingue, che sono importanti, voglia di lavorare, disponibilità per turni mattutini e serali e, se donna, avrebbe dovuto essere priva di prole e dell’intenzione di metterla al mondo. Immediatamente è scoppiata la polemica, l’autrice del post ha pensato, dunque, di cancellarlo, ma, ormai, le voci erano circolate.
A sorprendere è il fatto che queste parole siano uscite dalla tastiera di una donna. Anche a Mestre, qualche settimana fa, si è verificato un caso di discriminazione che offende il concetto, anzi valore, di pari opportunità. Protagonista della disavventura Paola Filippini, che è stata messa alla porta, da una nota agenzia immobiliare, per non aver risposto a domande riguardanti la sua vita privata. Paola ha raccontato che il titolare, dopo essersi presentato con notevole ritardo, non averle stretto la mano ed averle dato del tu, l’ha fatta accomodare nel suo ufficio. Il colloquio è iniziato, arrestandosi alla quarta domanda che riguardava lo stato civile e la vita privata della donna. Lei si è rifiutata di rispondere dicendo che intendeva preservare le informazioni personali che non erano assolutamente rilevanti per definire la sua adeguatezza o meno al posto di lavoro. Risultato? Curriculum stracciato, davanti ai suoi stessi occhi con gentile invito ad andarsene, uscendo dalla porta.
Essere messe davanti alla decisione di avere una famiglia o un posto di lavoro, è offensivo.
E sorge spontanea una domanda: Quante di noi, potrebbero scegliere di avere una famiglia, senza un posto di lavoro?
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